28 dicembre 2007

Binetti, si ricordi di Luigi Gedda (1938)

Walter Veltroni in una lettera alla "Stampa" (27.12) aveva definito "sbagliata e pericolosa" la tesi della sen. Paola Binetti la quale considera l’omosessualità una malattia da curare.

Binetti

La sen. Binetti oggi risponde dalle colonne del quotidiano torinese, con un'intervista a Giacomo Galeazzi: "Come neuropsichiatra ho esperienza decennale di omosessuali che si fanno curare. Non sono andata a cercarli io, sono loro che sono venuti in terapia da me perché dalla loro esperienza ricavano disagio, sofferenza, ansia, depressione e incapacità di sentirsi integrati nel gruppo. Non sono io a sostenerlo, è un dato oggettivo".



La posizione della sen. Binetti non si discosta da quella della Chiesa anglicana (sì avete letto bene, anglicana).



Ciò che in tale posizione spaventa, è espresso in un altro passo dell'intervista, in cui la sen. Binetti la rivendica e giustifica in nome di un "dato oggettivo": "Fino a poco tempo fa il Dsm4, la "bibbia degli psichiatri"" utilizzata da tutti gli enti pubblici, "ha sempre inserito l'omosessualità tra le patologie del comportamento sessuale".

Fino a poco tempo fa, dunque. Non so se sia il caso di chiedersi il perché della recente cancellazione.



Da vecchio pedagogista, quindi senza alcuna pretesa di confutare le tesi scientifiche ("scientifiche"?) della dottoressa Binetti, mi permetto di esprimere una opinione molto amara, perché essa rimanda al ricordo storico di quando un noto endocrinologo cattolico come Luigi Gedda teorizzò la superiorità della razza ariana, aderendo alla campagna antiebraica. Dalla quale derivarono quelle leggi razziali del 1938 che restano la vergogna somma di Casa Savoia, assieme alla guerra.



Per ulteriori informazioni scientifiche, vedere il blog Bioetica (a cura di Chiara Lalli): Binetti e intolleranza.



FONTE




16 dicembre 2007

Assolse Galileo

Galileo
«Il frate che assolse Galileo». Il titolo della mezza pagina della «Stampa» di stamane, nel ricordo di padre Enrico di Rovasenda, scomparso ieri a 101 anni, rimanda al 31 ottobre 1992, quando Giovanni Paolo II cancellò la condanna a Galileo, frutto (disse il papa) di «una tragica reciproca incomprensione» tra scienza e fede.
Riprendo la citazione dal bell'articolo di Alberto Mattioli, pubblicato a pagina 36.

Dalla Radio Vaticana, riporto la biografia del padre domenicano:
«Un testimone straordinario dell’apostolato intellettuale: è questo il tratto distintivo, nella sua lunga vita terrena, del domenicano Enrico di Rovasenda, spentosi stamani nel convento di Santa Maria di Castello, a Genova, all’età di 101 anni. Nato nel 1906 a Torino, a soli vent’anni si laurea in ingegneria nel capoluogo piemontese. Nel 1929 entra nell’Ordine dei Frati predicatori e inizia la formazione presso il convento di San Domenico a Chieri, fino all’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1933. Amico fraterno di Piergiorgio Frassati, collabora con il futuro Papa Paolo VI, negli anni in cui Montini è assistente della FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana. Dopo la licenza e il dottorato in Teologia, studia filosofia a Parigi. Ritornato in Italia a metà degli anni Trenta, ben presto diventa punto di riferimento della cultura cattolica della città. Nel 1974, Papa Montini lo nomina direttore della cancelleria della Pontificia Accademia delle Scienze. Incarico confermato da Giovanni Paolo II, fino al compimento degli ottant’anni. Tuttora era membro onorario dell’Accademia. Dal 1977 al 1992 è anche assistente ecclesiastico prima del Movimento laureati di Azione Cattolica e poi del Movimento ecclesiale di impegno culturale. Da 15 anni si era ritirato nel convento di Santa Maria del Castello di Genova. Proprio qui, lunedì prossimo alle ore 11.30, saranno celebrati i suoi funerali. (A.G.)»

Il caso ha voluto che oggi pomeriggio, ripulendo un po' sedie e scrivanie, trovassi una pagina di «Repubblica» dello scorso 19 giugno. Titolo «I calcoli di Newton: l'apocalisse nel 2060». Sottotitolo: «Gerusalemme, in mostra inediti del grande scienziato su cabale e alchimia».

Alberto Stabile spiega che Newton non vedeva nessuna contraddizione fra scienza e fede. E che compose 15 pagine di quaderno sull'alchimia che all'epoca «godeva del prestigio di cui godono la fisica nucleare e l'ingegneria genetica messe insieme».
Ciò a dimostrazione che il cammino della scienza è molto lento e contorno. Non un piatto precotto di verità. Anzi ciò che oggi appare tale, domani potrà essere smentito da altre scoperte. Ecco perché la verità della scienza non è mai un dogma.

Contro il dogma dovette scontrarsi Galileo. Un pensiero di gratitudine, dunque, al domenicano padre Enrico di Rovasenda deceduto ieri, per la sentenza vaticana del 1992.

11 dicembre 2007

Bacone «non dixit»

Papa_bacone«Purtroppo inesatta» è l’immagine di Francesco Bacone presentata dall’enciclica papale «Spe salvi». Lo scrive il supplemento culturale «Domenica» del «Sole-24 Ore» del giorno 9 dicembre 2007, nel sottotitolo del pezzo composto dal prof. Paolo Rossi. Il quale è uno dei maggiori studiosi di Storia della Scienza in tutto il mondo, non soltanto in Europa.
Non ho la pretesa di riassumere cose che Rossi spiega in maniera molto chiara, come sua consuetudine. Segnalo soltanto alcuni punti del suo articolo, sperando che a qualcuno venga la voglia di leggerlo integralmente.

Le considerazioni pontificie, dunque, non «sembrano accettabili», secondo Rossi. Bacone, facendo la distinzione fra magia e scienza, conclude che «il fine della scienza» non ha a che fare con l’orgoglio e l’ambizione (come per la magia), ma riguarda «il benessere di tutti i viventi, è la carità».
Bacone «non pensa per nulla all’esistenza di un rapporto necessario fra aumento del sapere-potere e crescita morale».

Per Bacone, «la tecnica è ambigua per essenza», perché (sono parole dello stesso Bacone), «può produrre il male  nel contempo offrire il rimedio al male»: «faciunt et ad nocumentum et ad remedium».
La citazione è presa da «De sapienta veterum» (1609).
Dove si narra la storia di Dedalo che per consentire a Pasife di accoppiarsi con un toro (e poi, commento mio, parliamo di corruzione contemporanea, relegando il peggio nella mitologia…), costruisce una macchina adatta alla bisogna. Ecco un esempio di invenzioni applicate al male…

Conosco il prof. Rossi da circa 45 anni, è stato mio docente di Storia della filosofia al Magistero di Bologna, nella sua materia mi sono laureato discutendo una tesi che ha avuto come controrelatore l’italianista prof. Ezio Raimondi, altra figura di studioso conosciuta in tutto il mondo. Fummo molto fortunati ad avere quali insegnanti delle persone come loro due, ma voglio ricordare anche Luciano Anceschi (Estetica), Giovanni Maria Bertin (Pedagogia) e Gina Fasoli  (Storia medievale e moderna). Sono nomi che ritrovate in ogni testo che riguardi le loro discipline, tanto alto è stato il loro contributo alla cultura italiana.

L’intervento discreto ma fermo di Rossi su Bacone documenta come spesso, nella trattazione di un argomento, si prendano rappresentazioni non corrispondenti alla verità empirica di quello stesso argomento.
A questo aspetto sono dedicate le righe conclusive del testo di Rossi che spiega come l’immagine deformata di Bacone sia nata esattamente sessanta anni fa con la «Dialettica dell’Illuminismo» di Horkheimer e Adorno.